Assistiamo in questi giorni alla diatriba nazionale e alla presentazione della proposta di legge, da parte delle forze del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle, riguardante il salario minimo come risposta alla crescente inflazione che attanaglia il costo della vita, soprattutto dei più poveri, per tentar di non far sembrare quella crescita del 4,6% del PIL registrata nell’estate del 2022 un unicum, evento raro e irripetibile.
L’economia italiana torna ai suoi standard e zoppica, rallentando e rischiando l’ennesima e dannosa stagnazione che può divenire il colpo fatale per una popolazione sempre più stremata dagli eventi, ormai senza tregua dal diffondersi del Covid-19, con gli effetti evidenti della pandemia sul nostro stato economico e psicologico.
L’Italia è uno dei pochi stati facenti parte dell’UE che basa il proprio sistema salariale sulle trattative collettive e non specificando giuridicamente un salario minimo a protezione della propria classe lavoratrice, ma non è l’unica. Fanno parte di questo gruppo (assieme al nostro paese) Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro. Perché quindi è tanto grave la mancanza di un sistema simile a protezione, ed esecuzione, dell’articolo 36 della nostra Costituzione? In fondo abbiamo accanto a noi, tra gli altri, partner considerati la punta di diamante d’Europa in fatto di diritti dei lavoratori.
La profonda differenza tra i diversi sistemi sociali ed economici sorge immediata alla prima occhiata a una qualunque ricerca statistica sull’aumento dei salari e del potere d’acquisto negli ultimi 30 anni. Vediamo la Svezia a guidare, con una variazione che sfiora il 70%, poi la Danimarca, che non raggiunge per poco il 40%, infine Finlandia e Austria, rispettivamente a 31,8% e 24,9%. L’Italia in tutto ciò dove si colloca, con il suo sistema tanto simile?
L’Italia dal 1990 ad oggi ha avuto una decrescita dei salari del 3%.
Alcuni storici e sociologi definiscono questo nuovo ventennio globalizzato come gli anni della multicrisi, fenomeno che continuerà probabilmente ben oltre il decennio corrente, che segnerà noi e le generazioni che seguiranno.
L’unico modo per contrastare la costante e impervia instabilità è tramite (perdonate l’ovvietà) la stabilità, con alla base una stabilizzazione amministrativa, politica e persino economica, garantita da una presenza giuridica esaustiva e onnipresente nel dialogo pubblico, senza lasciar spazio a interpretazioni di ogni tipo, così da donare tranquillità a una nazione e a un popolo che barcolla verso il futuro. La famosa resilienza economica.
Disoccupazione, in particolare giovanile e femminile, fuga di cervelli, gender pay gap, stagnazione economica e dei salari, indebolimento del potere d’acquisto, NEET, incapacità della pubblica amministrazione e della classe politica di rispondere alle questioni poste dalla società civile. Son tutti fenomeni profondamente collegati ed intrecciati, a cui si deve rispondere in maniera trasversale e coesa, senza l’utilizzo di una visione focalizzata, come a tentare di riparare la finestra rotta mentre l’intero muro sta per collassare su sé stesso. Il salario minimo potrebbe essere quell’atto dovuto, e di civiltà, per iniziare un risollevamento di questa nazione, come già si è visto accadere in altri paesi dell’Unione Europea.
Con salari più controllati, stabili e sicuri i giovani qualificati rimarrebbero ben volentieri sul territorio nazionale, la disoccupazione verrebbe combattuta alla sua origine e al contempo verrebbe alleggerito il peso sul sistema della previdenza sociale; il gender pay gap inizierebbe a venir appianato (e magari abbattuto nel futuro) per garantire una vera equità retributiva, come viene dichiarato nell’articolo 37 della nostra Costituzione, il livello nazionale della popolazione NEET si avvicinerebbe alla media europea grazie alle nuove possibilità che si aprirebbero di fronte a questi giovani e, ovviamente, vi sarebbe crescita salariale, aumento del potere d’acquisto e una ripartenza del mercato interno grazie a questa nuova sicurezza.
Un segnale forte per una popolazione sempre più distaccata dai propri rappresentanti politici, primo partito in Italia a quanto se ne dica è il partito del Non Voto; popolazione che vedrebbe il Parlamento agire come era stato progettato in principio, esercitando il proprio potere legislativo, e avvicinarsi alle difficoltà delle persone, magari risvegliando anche delle sane controargomentazioni e critiche, ma andando a combattere quell’indifferenza che uccide la democrazia.
Gli esempi li abbiamo di fronte a noi, evidente la crescita salariale avvenuta in Germania dopo l’introduzione di un salario minimo a 10.45 euro l’ora nel 2015, poi aumentato fino a 12 nell’ottobre del 2022. In molti casi siamo stati il fanalino di coda di questa Europa, rimanendo ancorati a sistemi ormai inadatti per il nuovo mondo che abitiamo, dovrebbe esser l’ora di muoversi verso il futuro.