Paola Demagri Consigliera provinciale MCA e Valentino Inama Coordinatore Giovani MCA
Lo spunto di riflessione da cui partire è il saggio Vite Ferme del prof. Paolo Baccagni dell’Università degli Studi di Trento che sottolinea come la segregazione residenziale dei richiedenti asilo non sia solo antieconomica per i conti pubblici ma non produca nemmeno integrazione. L’integrazione implica – ricordiamolo – un processo di inserimento nel contesto sociale e cioè nel conoscere anche le regole tipiche della nostra convivenza civile.
Ignorare le caratteristiche delle regole della nostra società civile provoca incomprensioni che spesso arrivano a sfociare in disagi per la popolazione locale producendo così una becera retorica del “noi e loro”.
Il prof. Baccagni in un’intervista rilasciata sul giornale “l’Adige” domenica 19 maggio 2024 parla anche di una “bolla” in cui vivono i richiedenti asilo. Immaginiamoci per un’attimo di essere noi in questa bolla, “ospitati” in una struttura per settimane, mesi, anni senza poter lavorare, senza nulla da fare, senza conoscere il mondo che ci circonda. Cosa faremmo?
Inutile scomodare la piramide di Maslow e parlare dei bisogni umani con riferimenti accademici: non c’è solo il cibo, il vestiario e l’assistenza medica nella vita di una persona. Dovremmo parlare di senso di appagamento, di senso d’efficacia e via discorrendo. Il Baccagni sottolinea nel suo saggio come questo “parcheggio sovraffolato” rappresentato dalle residenze per migranti, produce frustrazione nelle persone che vi risiedono ed – aggiungiamo – a chi vi lavora, e a chi come noi ha un pensieri positivo verso i migranti. Non sta a noi giudicare il buono o il cattivo!
Per un’attimo però fermiamoci: fermiamo le c.d. narrative “buoniste” che edulcolorano da un punto di vista emotivo-empatico il problema migratorio e poniamoci il problema con un approccio analitico sulla base di dati politici, economici e sociali. Per un attimo sospendiamo quindi lo show atto sul tema ( tipico di una certa area politica) e quindi ragioniamo.
Un primo dato è rappresentato dalla volontà della Giunta di attuare una “spending review” sui progetti di accoglienza. Altro dato sono i disagi del capoluogo dove tutti i richiedenti asilo ed i migranti in ospitalità temporanea sono stati ammassati selvaggiamente senza alcuna prospettiva di interazione costruttiva con la società che li circonda.
Volendo rispettare il primo dato vogliamo quindi sottoporre una riflessione alla Giunta provinciale per un piano di gestione e d’accoglienza che cerchi sì di risolvere l’eccessiva presenza di migranti nel capoluogo ma che cerchi anche di rendere queste persone delle risorse sul territorio inserendole in un programma quanto più economicamente sostenibile.
Tenere persone rinchiuse in una struttura pubblica a non fare nulla o non dare loro gli strumenti per interagire in maniera costruttiva a cosa può portare? Cosa si vuole ottenere lasciandoli alla deriva ed in balia di sé stessi? Per noi questo significa essere ideatori e promotori di problemi che un tempo, non molto lontano, erano Governati e Gestiti.
L’approccio che si deve utilizzare è quello per cui “non è un problema se non ha una soluzione” e quindi se non si vuole affermare che la politica trentina non sa che fare per fermare i disagi nel capoluogo cerchiamo di portare avanti una soluzione condivisa rispettando le necessità del territorio, gli obblighi morali a cui – più volte – il Santo Padre ci ha richiamati.
Spostare persone o famiglie migranti dal capoluogo ai territori non è di per sé una risposta se non accompagnata da un piano d’inserimento e d’integrazione. Ragioniamo quindi sulle barriere tra le persone migranti e la società trentina: la prima barriera è quella linguistica, servono corsi intensivi di lingua; la seconda barriera è quella socio-culturale, serve educazione civica, netiquette e la presenza di mediatori culturali; la terza barriera è la carenza di una professionalità a cui serve sopperire con un avviamento al lavoro. Pensiamo a settori come l’agricoltura, la zootecnia, il turismo dove vi è una grave carenza di lavoratori.
Tuttavia, l’obiettivo di questi progetti di accoglienza decentrata deve essere quello di rendere queste persone economicamente autosufficienti, consapevoli delle principali norme giuridiche e sociali della nostra società.
In questa riflessione non abbiamo scomodato il dato più scientifico che ci sia, quello demografico. Solo questo basterebbe per decidere di cambiare la rotta della nave demografica dove il progressivo invecchiamento della popolazione trentina e la denatalità tanto bastano per sapere già oggi quale sarà il domani.