Parlare di calo delle nascite e pensare che sia solo una questione economica è veramente fuorviante. Molteplici sono le dimensioni del fenomeno, che vanno a loro volta analizzate singolarmente.
Dimensione sociale
È innegabile e anche fuori discussione il cambiamento di ruolo sociale della donna. La donna è sempre più impegnata nella propria realizzazione professionale, che prevede anni di studio e di conquista del suo posto sociale. Quando, poi, la donna si scopre desiderosa di maternità deve fare i conti con una biologia, che non l’ha aspettata, e che la mette davanti ad una infertilità, che di patologico non ha nulla, se non la normale fisiologia umana. Ricordo al riguardo la mia partecipazione ad un focus group di tanti anni fa sulla conciliazione famiglia/lavoro, nel quale una dottoressa affermò di essersi “ permessa” la gravidanza quando nessuno poteva più portarle via il suo posto nell’organizzazione. La stessa famiglia occidentale si aspetta che ogni figlia termini, prima, il proprio percorso di studi, si affermi professionalmente, diventi indipendente, e, solo allora, si possa dedicare a diventare madre. I vent’anni di età delle gravidanze del secolo scorso sarebbero per le madri di oggi gravidanze arrivate per errore, gravidanze che potrebbero compromettere la vita futura di una figlia, e, quindi, da non augurarsi. Anni fa venne al centro una scolaresca del liceo. Alla domanda: “quando una donna deve iniziare a pensare ad una maternità, risposero tutti “oltre i 30 anni“. Questa risposta deve farci riflettere.
Una vita frenetica di coppia
Spesso, la coppia che si rivolge al centro di PMA ( Procreazione Medica Assistita) è una coppia che non ha più tempo ed energia per fare all’amore. È una coppia stanca dal lavoro, dagli orari reciproci. Il lavoro a turni, il potersi vedere solo in determinati giorni del mese li porta ad una sessualità orientata alla procreazione, con tutto lo stress dato dal dover assolutamente arrivare ad un test di gravidanza positivo nei tempi concessi.
La difficoltà di trovare il rapporto “perfetto“ per pensare alla maternità/paternità
Per “perfetto” intendo maturità reciproca, lavoro fisso, casa sufficientemente grande da poter accogliere i figli. Insomma, quando tutto è al suo posto, ecco che deve arrivare il figlio.
La vera e propria patologia: la “vera” infertilità.
La mancanza di capacità procreativa, vuoi per mancanza di spermatozoi ( ultimamente molto frequente ), o per insufficienza ovarica, o per qualsiasi altra motivazione clinica.
Perché sono partita dalla dimensione sociale? Perché la PMA va prima di tutto prevenuta.
E la prevenzione si attua con l’educazione sia a livello familiare, che scolastico. Ho la percezione che non vi sia una sufficiente conoscenza del proprio corpo da parte delle ragazze. Non mi sembra vi sia sufficiente conoscenza da parte di entrambe i sessi dei comportamenti, che possono compromettere la fertilità. Non mi sembra vi sia l’interesse ad andare a studiare eventuali correlazioni tra l’inquinamento ambientale e l’infertilita’.
Altra prevenzione da mettere in atto è quella sulla coppia. La coppia va aiutata a gestire eventuali situazioni di disagio emotivo, che potrebbero compromettere la sessualità e, di conseguenza, la fertilità. Ricordo una coppia che si è presentata al centro perché la donna voleva quel figlio abortito spontaneamente 4 anni prima. In quei 4 anni alla donna non era stato consentito piangere perché aveva già 2 figli. Il pianto di quel giorno ha fatto sì che dopo qualche mese sia arrivata la gravidanza. Penso a quante coppie sono sole ad affrontare la continua negatività dei test. Ogni mestruazione è un’attesa disattesa, un’illusione spenta, una lacrima ritrovata. E a lungo andare si passa dall’emozione della tristezza a quella della paura, della delusione e, per finire, della rassegnazione. Con chi parla la coppia di questi vissuti ? La confidenza a qualcuno dell’infertilita è molto delicata, se non impensabile per la coppia. Pochissimi si confrontano con il medico di base; lo psicologo è lontano anni luce, troppo pericoloso, chissà cosa potrebbe uscire da noi.. meglio andare direttamente in PMA e trovare chi può risolvere la soluzione per noi..
Infine, non sono convinta che la motivazione economica possa incidere sulla mancanza delle nascite. Chi vuole un figlio non si ferma davanti alla disoccupazione, o alla paura di non riuscire a mantenere quel figlio. Peraltro, in PMA viene accettata l’esenzione per disoccupazione o per reddito, tanto che, talvolta, siamo noi a chiederci come farà la coppia a gestire quel bimbo, se ha già la difficoltà a pagare i ticket della procreazione. La PAT, inoltre, a differenza di altre Regioni italiane, supporta la coppia economicamente anche per quelle prestazioni che non sono state inserite nei LEA, come la diagnosi sugli embrioni, in caso di malattie genetiche; oppure nell’acquisto dei gameti, in caso di PMA eterologa.
Per quanto riguarda le motivazioni patologiche.. che dire, forse sono quelle più semplici da gestire, in quanto la causa è chiara, e la PMA ha tutto il diritto della priorità di azione.
Quando arrivai in PMA chiesi al Primario quale fosse il suo obiettivo. Lui mi rispose “ bimbi in braccio “ . A quel punto io risposi che il mio obiettivo sarebbe stato il benessere della coppia, che può passare anche da un non bimbo in braccio. In questi anni ho cercato di portare in PMA la cura delle parole oltre che degli ormoni, perché la coppia ha bisogno di parole “fertili “.